Descrizione
Alaa mi ripete spesso che Tulkarem non è stata sempre una città così chiusa e religiosamente osservante come è adesso. Tutto è iniziato a cambiare dopo la Seconda Intifada, dopo i lunghi coprifuoco da parte dell’esercito israeliano e gli arresti indiscriminati, dopo la confisca delle terre e la distruzione delle attività. La gente si fida meno, dice Alaa, ha meno voglia di sperimentare e guardare oltre al proprio naso.
Il libro di Silvia De Marco svolge un ruolo importante. Non è un elenco di ricette palestinesi come potrebbe inizialmente apparire. È il racconto della vita quotidiana di un popolo, del suo agire in condizioni ostili, del suo tenersi fedele a una memoria collettiva tramandata di padre in figlio.
dalla prefazione di Michele Giorgio
Abitare un territorio in perpetuo dissidio come la Palestina significa avere a che fare con un attaccamento alla vita ben diverso da quello che siamo abituati a sperimentare in occidente. E conoscere un territorio significa frequentarlo anche attraverso il suo cibo, che è la prima e più autentica forma di attaccamento alla vita. È così che viene fuori la storia profonda e antica di un Paese che vede costantemente minacciata la propria identità, e che la rivendica nei modi in cui può trovare spazio, ritrovandosi nelle tradizioni. Questo ricettario narrato ha una storia per ogni piatto, e ogni storia dà una nuova prospettiva sulla Palestina occupata, che può e sa raccontarsi in tutti i suoi meravigliosi aspetti, partendo da ciò che mangia. Sayadieh, Maqlubeh, Khubbezeh, Fattet Hummus, Kofta Kebab: questi alcuni tra i nomi delle tante ricette raccontate in questo libro di confine – illustrato da Chiara De Marco e con prefazione di Michele Giorgio, corrispondente dal Medio Oriente per “Il Manifesto” – che cuce assieme cibo, esperienze, storia e geografia.
Silvia De Marco è nata a Firenze e per quattro anni ha vissuto a Ramallah, in Palestina, dove ha lavorato a progetti sull’ambiente e a percorsi educativi con bambini e ragazzi. Stimolata dal contesto e da incontri che hanno lasciato il segno, ha avuto modo in questi anni di esplorare nuovi interessi, e coltivare quelli che già la appassionavano, tra cui la cucina, elemento come pochi altri capace di raccontare un popolo e celebrarne l’identità.